Flessibilità in uscita pensioni: l’obiettivo è arrivare a introdurre il limite dei 40 anni di contributi
Le pensioni sembrano finalmente avviarsi verso una maggiore flessibilità in uscita. Riuscire nell’impresa di agevolare l’uscita dal mondo del lavoro, però non è un processo esente dall’introduzione di penalizzazioni. La flessibilità costerà allo stato almeno 7 miliardi all’anno, e per rientrare nei costi alcune penalizzazioni saranno inevitabili.
Il tutto sarà perfezionato nella prossima legge di stabilità, dunque chi sperava in novità prima dell’estate ancora una volta resterà deluso. Lo scopriremo presto.
Il tema pensioni si lega a doppio filo a quella della flessibilità. Tra le richieste che arrivano più spesso al premier c’è proprio una riforma pensioni basata sulla flessibilità che consenta a chi lavora da tanti anni di uscire dal mondo del lavoro e di facilitare il ricambio generazionale. L’auspicio è che si arrivi anche a introdurre il limite dei 40 anni di contributi.
La flessibilità in uscita costerà alle casse dello Stato dai 5 ai 7 miliardi annui per diversi anni. Dove trovare queste risorse? Inevitabilmente bisognerà parzialmente attingere da un fondo che verrebbe a crearsi con alcune penalizzazioni per coloro i quali scelgono di barattare qualche anno in meno di lavoro con un assegno decurtato.
Le discussioni sulla flessibilità in uscita sono slittate alla prossima legge di Stabilità non per mancanza di volontà ma per l’impatto dei costi sui conti pubblici. Qualunque intervento prevede delle penalizzazioni. Questo va fatto in un’ottica di equilibrio nel rapporto tra le generazioni per evitare problemi di cassa che ci impongono di presentarci alla Ue dicendo che prevediamo delle penalizzazioni.