Totalizzazione contributi 2022: può essere esercitata sommando la contribuzione non coincidente al perfezionamento alternativamente di 40 anni e 3 mesi
Le ultime notizie sulle pensioni dicono che c’è una nuova strada perseguibile per risolvere la questione previdenziale in Italia. Si tratta del programma che propone di utilizzare in maniera cumulativa tutti i contributi presenti nelle gestioni previdenziali gestite dall’Inps.
Non c’è quindi solo l’APE tra le proposte per porre rimedio alla legge Fornero. Il Governo sta vagliando anche la proposta del numero uno Inps che viene incontro ai lavoratori con carriere lavorative discontinue. Propone di riunire la contribuzione accreditata in diverse gestioni della previdenza pubblica obbligatoria.
Non si tratta di una vera e propria novità, considerato che Boeri il piano è già stato presentato lo scorso anno al Governo. La proposta prende spunto dallo strumento della totalizzazione, in modo da far cadere quelle barriere che penalizzano i lavoratori che hanno carriere discontinue.
Per capire i vantaggi delle proposta bisogna partire dal presupposto che al momento la totalizzazione può essere esercitata sommando la contribuzione non coincidente al perfezionamento alternativamente di 40 anni e 3 mesi di contributi. Ciò a prescindere dall’età anagrafica. In alternativa devono scattare 65 anni e 3 mesi di età insieme a 20 anni di contributi.
A partire dal 1° gennaio 2016 bisogna sommare altri 4 mesi per via dell’aumento dell’aspettativa di vita. Potrebbe interessarti il nostro articolo che spiega l’impatto dell’aspettativa di vita sulla possibilità di andare in pensione. Questo sistema prevede una penalizzazione rappresentata dal posticipo dell’erogazione della pensione. Infatti con l’uscita di anzianità con 40 anni di contributi, è obbligatorio aspettare 21 mesi di finestra dal compimento del requisito contributivo. Invece con con l’uscita di vecchiaia, a 65 anni, bisogna aspettare 18 mesi. Ma c’è anche un’altra penalizzazione sotto forma del sistema di calcolo dell’assegno che resta contributivo.
Il piano propone di rivedere l’istituto della totalizzazione apportando alcune variazioni al dlgs 42/2006. Innanzitutto il numero uno Inps interverrebbe sui requisiti di pensionamento con la previsione di tre canali di uscita al posto di due. Ci sarebbe uno a 67 anni con 20 anni di contributi oppure a 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva senza requisito anagrafico.
L’altra proposta è di pensione a 63 anni e 7 mesi di età con 20 anni di contributi. Ciò eliminerebbe le finestre mobili di 21 o 18 mesi eliminando l’adeguamento all’aspettativa di vita per i 67 anni, sino al 2021.
Il piano propone poi di non cambiare il sistema di calcolo erogato da ciascuna gestione previdenziale spiegando che “La misura del trattamento a carico delle forme assicurative gestite dagli enti previdenziali pubblici è determinata in proporzione dell’anzianità contributiva maturata presso le forme assicurative stesse secondo i criteri di calcolo previsti da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento”. Ci sarebbe una penalità solo per i lavoratori che scelgono l’uscita a 63 anni e 7 mesi di età del 9% riducibile del 3% circa per ogni anno di posticipo nell’accesso alla pensione.
La totalizzazione riguarderebbe i lavoratori dipendenti e autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri), gli iscritti alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i sacerdoti secolari e ministri del culto delle confessioni diverse dalla religione cattolica autorizzate dal Ministero dell’Interno con relativo decreto iscritti nell’apposito Fondo di previdenza, i liberi professionisti iscritti ad una delle Casse privatizzate, gli iscritti a forme assicurative sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, compresi i lavoratori del pubblico impiego.