Flessibilità in uscita pensioni: penalizzazione potrebbe arrivare fino al 15% dell’importo mensile e costringerebbe il lavoratore a pagarsi interamente da solo l’anticipo di tre anni
La flessibilità sul tema pensioni inizia a vedere la luce per merito dell’incontro tra sindacati. L’intento è assicurare la possibilità di andare in pensione tre anni prima del requisito della vecchiaia. Non si intravedono altre strade che quella del prestito da stipulare con la banca, che dovrà anticipare al neo pensionato l’assegno netto per gli anni che mancano al raggiungimento dell’età del ritiro. Una soluzione che fa storcere il naso a molti, che vorrebbero tenere fuori assicurazioni e istituti di credito dalla questione. Ma non ci sono molte alternative. La restituzione potrà avvenire in 20 anni attraverso una rata che inciderà sulla pensione e sarà modulata in modo diverso a seconda dei casi. Una soluzione che va bene ai dipendenti che hanno perso il posto per ristrutturazioni aziendali, meno ai lavoratori che scelgono volontariamente di ritirarsi tre anni prima.
Il motivo è semplice: per questi ultimi la penalizzazione potrebbe arrivare fino al 15% dell’importo mensile e costringerebbe il lavoratore a pagarsi interamente da solo l’anticipo di tre anni. Tutti gli altri invece potranno detrarre fiscalmente la rata con una penalizzazione inferiore.
Questa sperimentazione dovrebbe rivolgersi alle classi di lavoratori nati nel 1951-’52. Si lega ai requisiti di vecchiaia e dunque è applicabile ai lavoratori dipendenti di 63 anni e sette mesi.
Le ultime notizie sulle pensioni avevano lasciato presagire che le decisioni del Governo non sarebbero state indolori, come spesso accade. E allora per salvare capra e cavoli (decidete voi chi sono le capre e chi i cavoli) si è provato a non compromettere l’equilibrio dei conti pubblici per i prossimi anni, con una manovra a costo zero per le già disastrate casse dello Stato. Ma siccome a questo mondo nulla si crea dal nulla e nulla si distrugge, i soldi da qualche parte bisognava pur reperirli e distrarli.
La flessibilità in uscita avrebbe un costo di 10 miliardi, ma con la soluzione trovata dal governo viene a costare «molto meno di un decimo». Bisogna però capire come reperire i fondi mancanti. Il costo reale si riferisce alle categorie alle quali viene garantita una rata meno onerosa. E così i lavoratori che si ritirano volontariamente dal posto di lavoro accederanno a un prestito garantito dallo Stato.
La conferma che non si tratta di una manovra completamente negativa arriva dal fatto che il giudizio dei sindacati in merito è stato moderatamente positivo. Sottolineano come il fatto che la penalizzazione sia sostituita da un rateo costituisce un piccolo traguardo. Un meccanismo che sottrae una parte della pensione con la prospettiva di restituirla poi, «ma il confronto continua con un calendario lungo il mese di giugno». Sono le parole del segretario generale della Cgil Susanna Camusso. «È cambiato il clima, non c’è un’illustrazione da parte del governo, ma un confronto vero», spiega Annamaria Furlan, leader della Cisl. Il segretario della Uil Carmelo Barbagallo punta il dito verso la necessità che sia l’Inps e non le banche a dare l’anticipo. Il presidente della commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi sostiene che il prestito sia una materia da trattare negli «accordi tra imprese e lavoratori anziani in modo che la tutela di quest’ultimi risulti ancor maggiore».
Ora resta da regolarizzare la situazione relativa ai lavoratori pubblici. Il governo vuole trovare una una soluzione che permetta anche agli statali l’anticipo. Costerebbe 500 milioni di euro. In tutto ciò cresce l’attesa per la questione esodati, che sperano nella ratifica prima possibile dell’ottava salvaguardia, che a questo punto difficilmente arriverà prima dell’estate.