Pensioni

Pensione anticipata quanto si perde: l’obiettivo è far andare in pensione i lavoratori a 62 anni e 7 mesi.

Quando si parla di riforma pensioni il pensiero va subito alla flessibilità, e quindi alla possibilità di intervenire sulla pensione anticipata. Il primo traguardo da raggiungere sarebbe quello di far andare in pensione i lavoratori a 62 anni e 7 mesi. Le ultime notizie sulle pensioni dicono che si possa e si debba fare “entro l’anno”.

L’ammodernamento del sistema previdenziale non può più procrastinato e il Governo deve dare risposte ai cittadini, concrete, entro fine anno con la prossima Legge di Stabilità.

La maggiore flessibilità in uscita verso il pensionamento anticipato è sempre stato uno dei capisaldi delle strategie per salvare i conti dello Stato da una parte e le tasche dei cittadini dall’altra. In questa direzione spingono anche i sindacati. Il presidente della Commissione Lavoro della Camera si dice convinto che l’attuale Governo voglia “spingere avanti il Paese sul terreno delle riforme e della modernizzazione”.

Lavoro e pensioni sono le priorità che il Governo non deve dimenticare: “Quello che vorremmo suggerire è la necessità di tenere conto, nel programma di Governo, di alcune priorità fortemente sentite dai cittadini: in estrema sintesi, sicurezza, lavoro e pensioni”. “Se non affronteremo anche il tema dell’ammodernamento del sistema previdenziale attraverso la flessibilità, aumenterà il numero dei poveri e diventerà sempre più difficile l’accesso al lavoro da parte dei giovani: aziende popolate di settantenni che mantengono a casa, disoccupati, i propri figli e nipoti, non rappresentano certamente una prospettiva accettabile per un partito di sinistra”.

E’ fattibile ciò che è descritto nella sua proposta di legge numero 857, che prevede la flessibilità pensionistica, con pensionamento anticipato di almeno 4 anni rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi. Si arriverebbe a un abbassamento dell’età del pensionamento a 62 anni e sette mesi. Come trovare i soldi per questa manovra? La spesa iniziale verrebbe compensata nei successivi 20 anni, tra i 66 e gli 86 anni di età, “pari cioè alla media dell’aspettativa di vita uomo/donna. In questo modo avremo un assegno più basso per sempre”.